
Alla fine dei “cinquanta”, erano ancora in molti a trarre, dal duro lavoro dei campi, solo il sostentamento per la famiglia o poco più. Qualcuno guardandosi intorno cominciava a non volerne più sapere, specialmente quando si accorgeva che la società in rapida evoluzione produceva nuove forme di benessere senza disagi e senza fatica. Poteva esserci qualche scappata al mercato settimanale di Lari e alcuni viaggi notturni per accompagnare la frutta all’altro mercato di Livorno ma, alla fine, la libera uscita del contadino era ridotta a due o tre ore la sera, la veglia del dopo cena.
Gli abitanti del borgo di San Frediano, vicino a Casciana Alta, un tempo quasi tutti dediti all’agricoltura, facevano capo al bar delle Cave detto da Lina e Cesarone, o semplicemente la bottega de le ʼave, che lungo un’importante via provinciale fungeva anche da piccola trattoria, per un bel po’ di gente di passaggio.
Come in tutti i ritrovi rurali, gli abituali frequentatori, tra un caffè ed una partita a carte, scambiavano quattro chiacchere fra di loro, ma ad alta voce anche per chi non voleva sentire, un modo per esternare con calore preferenze politiche e sportive. Le lagnanze per la fatica del giorno appena trascorso si mescolavano alle lodi per i propri prodotti, seguite a mugugni per la scarsa remunerazione. Tutto accmpagnato dall’immancabile e colorita bestemmia. I frequentatori mostravano uno straordinario e variegato rapporto affettivo con “madre terra”. Per ognuno tutte le occasioni erano buone per proporre la propria filosofia di vita. […]
Marzio Volpi, Abbasso la proprietà da “Mezzo pane – Figure e vicende della Valdera contadina”, pag.51 – 2012, Tagete Edizioni