Eugenio Müntz, Firenze – Santa Croce: l’interno

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Firenze - Interno di Santa Croce
Firenze – Interno di Santa Croce – immagine tratta da “Firenze e la Toscana” di E.Muntz – 1899 – Fratelli Treves Editori

L’ interno di Santa Croce è vasto e leggiero, pieno d’aria e di luce : la policromia è data solo dall’alternarsi delle pietre di un bel grigio turchino, coll’intonacatura bianca delle pareti, coi mattoni rossi del terreno, colle invetriate di celebri autori e gli affreschi del coro. Le arcate, che si appoggiano su pilastri ottagonali,  hanno un’apertura enorme,  spaventosa quasi,  che contribuisce non poco a far apparire la chiesa meno massiccia.

Tale impressione è aumentata dalla mancanza della vòlta di pietra, essendo pienamente visibile la travatura in legno del tetto. Ecco dunque la differenza fondamentale tra il gotico italiano e il gotico francese, cioè il vero gotico accentuarsi una volta di più !  L’arco ogivale fu inventato — nessuno lo ignora — per conferire maggior elevazione e maggior ampiezza alle vòlte della navata; è questa la sua principale, si può dire, la sua unica ragione d’essere !  Ora in Italia si sopprimono continuamente tali vòlte sostituendole con travi simili a quelle delle basiliche cristiane primitive. In queste l’ogivale non è che un semplice elemento di decorazione, e non un elemento costruttivo. Tale è il sistema che noi vediamo adottato a Santa Croce, come pure nella cattedrale d’Orvieto, e in molti altri edilìzi.

Santa Croce, il Pantheon fiorentino, contiene forse — dice la signora di Staël — la riunione più brillante di morti che vi sia in Europa. Qui v’è Galileo  “perseguitato dagli uomini per avere scoperto i segreti del cielo; più in là Macchiavelli, che rivelò l’arte del delitto più da osservatore che da reo, ma le cui lezioni riescono più proficue agli oppressori che agli oppressi; l’Aretino, colui che consacrò i suoi giorni alla celia, e non provò nulla di serio nella vita, eccettuata la morte;  Boccaccio, la cui ridente fantasia potè resistere ai flagelli riuniti della guerra civile e della peste; un quadro in onore di Dante, come se i Fiorentini che lo lasciarono perire nel supplizio dell’ esilio potessero vantarsi ancora della sua gloria”.

 A questi nomi, grandissimi quant’altri mai, madama di Staël ha dimenticato d’aggiungere quello di Michelangelo, il cui mausoleo terminato nel 1570, sui disegni del Vasari, è un’opera d’arte pregevolissima, come pure un’eloquente prova dell’ammirazione professata pel Buonarroti dai suoi concittadini.

Quanto ai morti che pur non appartenendo come Dante. Macchiavelli e Michelangelo all’umanità intera, contano però tra le manifestazioni più splendide del genio italiano, la lista n’è infinita: qui riposano Ghiberti, Vasari e Bartolini, altrove Filicaia.

Il secolo XIX non ha affatto da arrossire dinanzi ai suoi predecessori; i poeti e gli artisti sepolti a Santa Croce. Alfieri, Ugo Foscolo, Niccolini, Cherubini e Rossini, comparirebbero degnamente in qualunque tempio della gloria; senza parlare poi di tante altre illustrazioni, quali gli storici Gino Capponi e il Botta, l’abate Lanzi, lo storico della pittura italiana, l’incisore Raffaele Morghen, ecc.

Un’idea pietosa ha voluto associare a tali mausolei o a tali monumenti, che eternano con figure di marmo o di bronzo tanto il ricordo delle virtù o del genio dei defunti, quanto i loro lineamenti, delle iscrizioni che ricordino tutti coloro che hanno ben meritato della grande patria italiana, o della piccola patria fiorentina: Vittorio Emanuele, Napoleone III, Mazzini, Cavour, Garibaldi, Ricasoli, Manin, hanno in Santa Croce la loro lapide commemorativa.

[…]

( Eugenio Müntz, brano tratto da “Firenze e la Toscana”, Fratelli Treves Editori, 1899 )

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