
[…] Strizzò gli occhi di nuovo e mi sorrise. E sculettando meglio che poteva, andò a sedere con le spalle voltate alla finestra. Le grossolane malizie di fanciulla molto matura le conosceva. Io la osservavo con la più grande attenzione, quando mi sento arrivare una gran manata sulle spalle, e il sor Cosimo mi dice:
«Sentirà come scrive in poesia quella ragazza ! Ce l’hai costì, Olimpia, quel sonetto che facesti domenica passata ?».
«Quell’ode, via, volevi dire.»
«Sie… o sonetto o ode, è lo stesso. Ma sentisse !… colle rime e ogni cosa !! Ma gli dico !… Faglielo sentire, via.»
«Poi, Cosimo, poi.»
Dio mi tenga le sue sante mani in capo ! E rivolgendomi alla signora Olimpia che teneva sempre il dito nel libro:
«Che cosa legge di bello, signorina ?».
«Do un’occhiata al Leopardi.»
«Ah!… Ah…»
E il sor Cosimo:
«Bello ! bello ! bello !».
«Lo conosce anche lei, signor Cosimo ?»
«Perbacchissimo ! Ce lo lèsse domenica passata alle frutte che ci fece pianger tutti come bambini.»
«No, Cosimo, avete inteso male. Il signore voleva dire di questo libro qui.»
«Ah ! io !? chè, chè, chè, ! Dicevo del sonetto, io. Ma poi lo sentirà… E gli devi dire anche quello di quando vestirono abate il figliolo del Calamai. O quello ! Eppoi… Ma che crede che ce n’abbia uno ? Ce n’ha una cassettata tutta piena che, se uno è bello, quell’altro non canzona… Poi, poi sentirà.»
Io che ero impaziente di sentire i suoi giudizi sul Leopardi:
«Come trova cotesta lettura, signorina ?» domandai alla signorina Olimpia.
«Le dirò», mi rispose, «per dire la verità, in fondo non ci sono ancora arrivata… ma, se devo essere sincera, mi pare che ci sia poco interesse.»
«Ah !»
«Non le pare a lei ?»
«Eh ! in certo modo… sì…»
«Scusi; non c’è mai un episodio finito. Lei trova Consalvo (quella, già, è rubata dal Tasso: la scena di Clorinda e Tancredi); trova Consalvo, va bene ? Consalvo muore; eppoi, almeno fin dove sono arrivata io, di lei non se ne sa più nulla. E lo stesso è dei caratteri ! Ci sarebbe quello di quella Nerina, che sarebbe bello; ma, Dio mio, è così poco spiegato !… Ne conviene ?»
«Eh ! sì, per dire la verità…»
«Vedete, Cosimo, se avevo ragione, quando se ne parlò l’altra sera colla signora Amalia !»
«Ma lo credo !», disse il sor Cosimo, approvando con una gran risata. «Ma che ti vorresti confrontare con quella superbiosa lì ? Vada sett’anni alle Salesiane come ci sei stata te, eppoi venga a ragionare. Tanto è inutile», disse poi mezzo stizzito, «m’hanno a tirar fòri quanti gli pare; ma come il Metastasio… Che dico male ?»
«Tutt’altro…».
«Ma che mi burla ! Io scommetto che anche a mettersi in cento… se son boni di scrivere tanti libri… neanche la metà di quelli che ha scritto lui. Ma poi come bene ! E non ce n’è stati altri, veh ! Chiama gli abitator dell’ombre eterne… Ah ! no; questo è dell’immortale Torquato… Sogna il guerrier… Sogna il guerrier le…?
«Sì, si; questo è vero», riprese, interrompendolo, la signora Olimpia che al discorso del fratello aveva sempre mosso la testa approvando. «Il Metastasio va lasciato stare; ma anche questo qui, badate, Cosimo, è carino dimolto. E anche lui ha scritto con que’ versi uno più lungo e uno più corto che mi piacciono tanto perché c’è il comodo di metterci quanti vocaboli si vòle… Ma come son difficili ! e come li tratta bene anche il Clasio !»
«O quello», saltò su il sor Cosimo: «o quello, che è scritto poco bene, con tutte quelle sentenze !..
Ma l’uom saggio mai non falla
Né in superbia né in viltà;
O sia bruco, o sia…
«O le Mie prigioni !?»
Io ero rimasto rintontito. […]
(Renato Fucini, brano tratto da “Scampagnata”, in “Le veglie di Neri: paesi e figure della campagna Toscana”, 1882)