
La seconda Torre, la quale si vuole edificata ne’ più remoti tempi dai Gualandi, successivamente fu detta della Fame. Al riferir de’ più accreditati Istorici esisteva questa dove si ammira oggi, sulla Piazza detta dei Cavalieri, un bene inteso Palazzo, la cui facciata, divisa simetricamente in ordinati spartimenti, nelle varie dipinte figure che l’adornano rappresenta diverse Virtù, le liberali Arti, e le meccaniche.
Avrebbono forse ben meritato della Posterità i Pisani col procurare che si conservasse intatto un monumento, il quale ci rammenta la tragica storia del Conte Ugolino della Gherardesca, e de’ nobili suoi comprigionieri, nota agli eruditi pei patetici Versi del divino Poeta Dante, che pieno di sentimento, dall’orribile fatto trasse materia onde inveire contro Pisa, e la crudeltà dell’Arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini , uomo vendicativo e inumano.

Correva dunque l’anno 1288 quando in Pisa aumentatosi il furore delle fazioni, la Città si divise in tre discordi partiti, l’uno dei quali dipendeva dai cenni del Conte Ugolino, che ogni mezzo tentava per farsi assoluto tiranno de’ suoi: l’altro aveva per capo Nino Visconti Giudice di Gallura, Ghibellino dichiarato, ed il terzo seguiva la volontà dell’ Arcivescovo Ruggieri , il quale, siccome Guelfo, agevolmente si uni col Conte congiurando contro di Nino. Il Giudice non così tosto si accorse dell’imminente suo pericolo, che con le sue genti si fuggì di Pisa, lusingandosi di trovar fuori il modo di vendicarsi della contraria fazione, e l’Arcivescovo intanto entrato in Palazzo vi risedeva quasi difensore della Città, aspettando tempo opportuno perchè gli animi, sedati i tumulti, si riponessero in calma, e perché il Conte fosse ritornato da Settimo, luogo di suo dominio, dove appostatamente s’era portato per isfuggire l’odiosità del concertato massacro.
Avvenne adunque che ritornato Ugolino, e vedendo in Palazzo l’Arcivescovo ne fremè di sdegno, e risoluto di voler solo governare la Città, tanto con astuta eloquenza seppe perorare al Prelato, che riescì nel desiderato impegno, e si fece Signore. Assai breve tempo però gli fu propizia la fortuna, la quale ben tosto anzi il condusse all’ultimo de’ suoi mali. Per natura ambizioso egli, e totalmente affidato sulla propria sagacità, non respirava che prepotenza e severo contegno, ed a foggia dei tiranni i giusti consigliatori da se rimoveva, sospettando d’ognuno il quale gli proponesse cosa ai più vantaggiosa, ed utile al popolo.
Ogni giorno si aumentavano perciò gli orrori, frequenti erano le stragi, le private e le pubbliche inimicizie si rendevano sempre più palesi, i sociali patti venivano posti in non cale, la pubblica fede era violata, ed il Conte con inaudita ferocia, senza aver pure riguardo al proprio sangue, giunse a ferire il suo Nipote medesimo, ed uccidere quello dell’Arcivescovo, il quale all’orribile vista del cadavere ne giurò fiera vendetta, e si dispose a compirla. Confidava ciò nonostante Ugolino nel partito dei Guelfi, e si augurava bastanti forze alla difesa: senonchè sollevato contro di lui tutto il popolo nella Città, perchè fu sparsa voce che ei voleva dare la Patria in mano dei Lucchesi, o dei Fiorentini: mancatigli inoltre gli esterni aiuti , ed abbandonato dai suoi, dovè cedere all’universale furore, e fatto prigione insieme con due suoi figli, e due Nipoti pagò ben caro il fio della sua tirannìa .
“I Pisani” scrive Giovanni Villani “fecero allora chiavare la porta della Torre, ove erano in prigione, e la chiave fecero gittare, in Arno, e vietarono a’ detti prigioni ogni vivanda, i quali in pochi giorni morirono di fame. Ma prima domandando il detto Conte con gran grida penitenza, non gli concedettono Prete nè Frate che l’andassero a confessare, e poi tratti tutti e cinque i morti insieme fuori della prigione, vilmente furono sotterrati, e d’allora innanzi fu la detta Torre, dove morirono, chiamata la Torre della Fame. Di questa crudeltà furono i Pisani per l’universo mondo, ove si seppe, fortemente ripresi e biasimati, non tanto per lo Conte (che per li suoi difetti e tradimenti era per avventura degno di sì fatta morte) ma per gli figliuoli e Nepoti, ch’erano giovani garzoni, et innocenti.”
Ed infatti anche lo stesso Dante , che per rimembrare si dolorosa storia fìnse di vedere il Conte Ugolino rodere le cervella dell’Arcivescovo Ruggieri, e di sentirlo lagnarsi di sua mala ventura, rammenta l’ingiustizia con la quale neppure si risparmiò l’innocenza, e perciò il mosse a gridare con amaro rimprovero :
Ahi Pisa, vituperio delle Genti
Del bel Paese là, dove ’l sì suona;
Poich’e vicini a te punir son lenti,
Movasi la Capraia e la Gorgona,
E faccian siepe ad Arno in sulla foce,
Sì ch’elli anneghi in te ogni persona!
Che se ’l Conte Ugolino aveva voce
D’aver tradita te delle Castella,
Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.
Innocenti facea l’età novella,
Novella Tebe, Uguiccione, e ‘l Brigata,
E li altri due, che ’l canto suso appella.
( Francesco Fontani, brano tratto da “Viaggio pittorico della Toscana – Vol. 2” – Firenze per Vincenzo Batelli e Comp., 1827 )

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