
L’arte pargoleggiava ancora in quei dì, e gli Scarpelli davano al marmo una qualche figura umana, ma priva affatto di belle forme, che anzi erano onninamente tali da quasi non dar segno di anima, di vita e di grazia. Fra le molte statue e busti di Santi che sovrabbondantemente vestono la facciata predetta, alcuna ve ne ha però la quale ha certamente non piccolo merito, e i lavori in bronzo che l’arricchiscono sono condotti con assai sufficiente buono stile; siccome fra gli animali i quali vi si veggono espressi a significare le Città alleate, ve ne ha taluno, il quale è degno dell’attenzione più seria, e ragionata degli Osservatori.
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La pianta è ragionevolmente bene intesa ; i colonnati tutti vestiti dì marmi non mancano di giustezza; ben distribuite sono le navate; gli archi condotti a regolar semicerchio; se non che questi non sono totalmente eguali fra loro, e ciò probabilmente derivò dalla diversità dei tempi, e degli Artisti i quali v’ebbero mano.
Le volte superiori non mancano di sveltezza, e fa un ottimo effetto quel colore azzurro spartito con nobile maestria da stelle d’oro, che lo rallegrano alquanto. Degno poi dell’universale ammirazione, perché singolare, anzi unico nel suo genere, è il celebre pavimento condotto a chiaroscuro con figure rappresentanti diversi fatti della Storia Giudaica singolarmente.
Lunga cosa sarebbe il descriverne ogni parte, per la qual cosa saremo contenti di accennarne sommariamente i pregi, e di enunciare i nomi degli Artisti che aumentarono la gloria della scuola Senese con inventare, e perfezionare un tal lavoro di pietre commesse.
Duccio fu il primo ad immaginare sì fatto genere d’ornato, e la parte ch’ei condusse (cioè quelle storie che veggonsi a pie dall’Altare di S. Ansano) ci fa vedere eh’ e’ lavorò le sue figure col trapano, sia nelle parti, sia in tutti i contorni; e pare che ciò facesse intorno al 1350. La Pietà rappresentata in sembianza d’una Verginella, che prega con fervore ed istanza, è opera sua, e negli atti, e nel volto non manca d’espressione, nonostante che nel totale mostri non poco di quel secco il quale caratterizza l’opere del suo Secolo.
Urbano da Cortona, ed Antonio Federighi col meccanismo quasi medesimo , ma però modificato in gran parte, fecero due delle Sibille, pel disegno non molto esatte certo; ma più informi ancora sono l’altre lavorate da posteriori Artisti de’ quali si ignora il nome, e che si manifestano assai mediocri a chiunque ne osserva le non troppo felici loro fatiche. A questi ciò non pertanto dee, a nostro giudizio , credersi che l’ Arte debba molto del suo miglioramento, perchè lavorando eglino le loro figure a graffito, e riempiendo dipoi gli incavi fatti dal ferro con pece ed altra materia nera, abbozzarono così in certo modo gli effetti del chiaroscuro. I naturali scherzi e venature delle pietre fecero quindi opportunamente osservare a Matteo di Giovanni il mirabile effetto che queste potevano produrre nel lavoro del pavimento da lui impreso a continuare presso l’Altare del Crocifisso col farvi il martirio degli Innocenti, perchè imitando, per una certa somiglianza quasi i lavori di Tarsia fatti in legno con la commettitura dei marmi, ne formò un’opera che riscosse gli elogi e l’ ammirazione del suo tempo, aprì la strada a Domenico Beccafumi perchè egli istoriasse con sempre miglior metodo, e naturalezza maggiore, intorno all’anno 1500. tanta parte del piano di questo Tempio, che al dir dei Vasari è
“il più bello, il più grande, e magnifico che mai fosse stato fatto.”
L’ avvedutezza speciale dell’Artista fu quella di scegliere i marmi bianchi pei chiari delle figure, i più bianchi pei lumi più forti, i bigi per le mezze tinte, ì neri per gli scuri, e pei tratti più vivi si valse anche talvolta di stucco nero. Il Sacrifizio d’Isacco, ed il Mosè che trae l’acqua dalla rupe, oltre molti altri gruppi, e figure, sono due pezzi che sorprendono, e ci convincono di quanto abbiamo asserito intorno al meccanismo usato da questo eccellente Pittore, con i cartoni del quale fu posteriormente alla sua morte tirato a fine da diversi Artisti quel che restava d’un così stupendo lavoro.
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( Francesco Fontani, brano tratto da “Viaggio pittorico della Toscana – Vol. 5” – Firenze per Vincenzo Batelli e Comp., 1827 )
che meraviglia!
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