
La salita era terminata: sulla sinistra comparve una miriade di luci. La corriera si lanciò a tutta corsa per la discesa, e le luci si misero a ballare nel vetro del finestrino.
– E’ Volterra ? – domandò Mara accennando alle luci.
– È Volterra, sì… […]
Improvvisamente Mara fu investita da una luce violenta. Guardò fuori: era un lampione; ne sopraggiunse un’altro, infisso in un muro; poi l’autobus imboccò una strada fiancheggiata da una fila di casette contigue, con le finestre piccole, e pentole e vasi coi fiori sui davanzali.
– San Lazzero, – si udì la voce del fattorino, – chi scende a San Lazzero ? – Ma già tre o quattro persone si erano preparate per scendere. […]
L’autobus passò sotto un arco. – Eccoci a Volterra, – disse la donna. Stava infilando un golf al ragazzo; poi si mise in testa un fazzoletto, annodandolo sotto il mento. – Si metta anche lei qualcosa in testa, signorina; a Volterra fa fresco, la sera –. Quindi la salutò e la ringraziò della compagnia. […]
– A Volterra come si chiama la strada dove vanno a passeggio i fidanzati ? – domandò Mara.
– Il Corso, – rispose Bube.
– È una strada grande ?
– No, tutt’altro… Volterra è una città vecchia, le strade sembrano tutte vicoletti. Di questa stagione però si può andare sul viale… quello è bello, largo… ci sono gli alberi, le panchine…» […]
( Carlo Cassola, brano tratto dal romanzo “La ragazza di Bube”, pag. 71, 72, 73, 97 – 1960, Giulio Einaudi Editore spa, Torino )



Stupendo romanzo.
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Hm…Il posto mi pare che sia molto mitico, con una magia speciale.
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Vero. Buona settimana.
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Anche a te, caro Carlo!
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ricordo bene questo fraseggio tra Bube e Mara. Cassola è tra gli autori preferiti. In pratica ho letto tutto.
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Rileggere queste poche righe de “La ragazza di Bube” è come visitare per la prima volta quella Volterra nella quale, trascinati dal fascino del racconto, non c’eravamo soffermati abbastanza.
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