
Povera Viareggio mia. Corpo e mani trafitte.
Ebbi paura, ma venne il rumore d’una motocarrozzetta a farmi riavere. Mi nascosi. Erano militari; passarono, io pensai a tornare.
Ero in « piazza delle paure » (allora io e gli altri ragazzi la chiamavamo così) dove gli uomini del monumento neri, gonfi, uno che strappa qualcosa e l’altro che lo vorrebbe ma non ce la fa, mi dettero il senso dell’assurdo; e concorreva la voce dei passeri vivi e sciamanti, felici in tanto silenzio. Cominciai a correre verso il mare, ma ad un certo punto la via era interrotta: cavalli di frisia ovunque.
Vidi le case lungo il viale a mare smozzicate, sfatte, tutte in una lunga riga di rovine che biancheggiavano sotto il solito sole. Fui in piazza Shelley. Il palazzo Paolina, che era stata la mia scuola, era spalacato, c’erano ancora le tende dietro le finestre dai vetri rotti. Il busto del poeta non c’era e non c’era neppure la piccola inferriata che lo cingeva. Lo sapevo che era già stata tolta per darla alla patria, come le inferriate dei giardini di quasi tutta la città.
La patria aveva voluto ferro per i cannoni, oro dalle donne, per chi sa chi, e uomini da seminare in terra e in mare, come se le acque poi fossero capaci, così come la terra, di far rinascere in una qualche primavera, una pianta di uomini, per rimandarli tutti a casa.
Osservavo come un fantasma, i vetri rotti a terra per le vie, fotografie, vasi da notte, qua e là mucchi di spazzatura sui quali cominciava a crescere l’erba nuova. Per le fessure delle strade che si spaccavano in rime frequenti, sbocciavano piante di pomodori, e tralci sottili di verdure che mi dicevano candidamente che lì gli uomini non ci passavano più, che le donne non ci spazzavano più, che le auto, i carri, le carrozze se ne erano andati spersi chissà dove. Sentivo che Viareggio era morta e che inutilmente il mio passo tentava di restituirle un barlume di vita.
[…]
( Luisa Petruni Cellai, Viareggio era morta, Racconto segnalato al concorso “Viareggio ieri” 1966 e pubblicato sulla rivista “Viareggio ieri” N.6 del 15 giugno 1966 )




Questi racconti mi stanno entrando nel cuore.
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