Dopo aver detto in giro che chiedeva per conto di una sua parente di Lucca, mia madre riuscì a parlare con la signora. Sapeva che aveva lavorato per anni al Tabaracci, e ancora continuava, abusiva. Come quella stamberga sul lago, cresciuta accanto al capanno di caccia che era stato del padre, nel suo personale ambulatorio arredato alla meglio con vecchie attrezzature e immagini di caccia alla volpe in cornici dorate, che aveva appeso nel piccolo andito trasformato in una sala d’aspetto. Per arrivare fino a lì, mia madre si perse nel labirinto di sentieri e canali, ma era ancora tutto così irreale e distante per essere turbata dal luogo e da tutta quell’acqua che c’era intorno. Arrivata a un bivio, proseguì a piedi, spingendo la bicicletta in mezzo a un acquarello irreale nascosto dal verde e percorse un viottolo di terra battuta con cannicci di falasco sui lati.
L’arsenale delle porte strette
buona serata
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