
Le due chiese che ci rimangono ancora a visitare sulla riva sinistra ci riportano a preoccupazioni d’arte trascendentali. Ciascuna incarna uno di quei tentativi che rinnovellarono, durante una lunga serie di generazioni, la maniera di comprendere e d’interpretare sia la natura vivente, sia gli elementi astratti di cui si compone l’architettura.
Se la chiesa di Santo Spirito, come la vedremo ora, non ebbe origine che molti anni dopo la morte di Brunellesco, per lo meno il progetto di questa ardita e grandiosa costruzione fu elaborato dal sommo architetto fiorentino: i suoi successori non fecero che introdurvi un certo numero d’errori di cui non si potrebbe, giustamente, renderlo responsabile.
La facciata è rimasta incompleta. L’interno colpisce tosto per 1’originalità del disegno e la maestà delle forme ; abbiamo innanzi a noi la vera chiesa del Rinascimento, che differisce dalla basilica cristiana primitiva per il maggiore sviluppo dato alla crociera e all’abside. A delle finestre altissime fanno riscontro delle centine sovra elevate; degli archi collegano le colonne monoliti, ma invece d’appoggiarsi direttamente sul capitello ciascuno di essi s’appoggia, secondo i precetti di Vitruvio, sopra un troncone intermedio, rappresentante il fregio, 1’architrave e la cornice. La cupola, piuttosto piccola, è semplice e svelta. Una serie di piccole absidi, ciascuna col suo altare, fiancheggia le due ultime gallerie della navata.
Cosi vicino al termine della mia esplorazione, non ho più il coraggio di dedicarmi alle opere d’arte di cui rigurgita il capolavoro di Brunellesco: ricordiamo, senz’insistere troppo, la sacristia, il vestibolo, il campanile, appendici di cui l’arricchirono Giuliano da San Gallo, Andrea Sansovino, Baccio d’Agnolo; le pale d’altare firmate da nomi celebri, le sculture, le invetriate, gli ornamenti d’ogni genere.
Non abbandoniamo però la piazza senza dare uno sguardo al magnifico palazzo Guadagni, così fiero ed imponente : il suo autore, il Cronaca, v’ha mantenuto, al limite estremo del secolo XV, la tradizione nazionale fiorentina, ma mescolandovi un certo qual elemento di finezze e di leggerezza ignoto ai suoi predecessori.
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( Eugenio Müntz, brano tratto da “Firenze e la Toscana”, Fratelli Treves Editori, 1899 )