
Parlando di Livorno antica del Periodo Mediceo vien subito fatto di ricordare il gruppo dei Quattro Mori, la cosa più nota, e direi quasi, la sola nota ai forestieri e a molti Livornesi che credono in Livorno non vi sia di qualche importanza altro che quello.
Sui Quattro Mori non si possono dire che cose ripetute. Tutti sanno come esso sia un monumento storico ad eterna memoria della conquista di Bona, una testimonianza di gratitudine per le guerre che Ferdinando I volle fatte senza tregua ai corsari barbareschi, un segno sensibile delle prede e dei trofei, riportati sui fieri nemici.
Quei quattro mori sono quattro corsari barbareschi, quattro fra i tanti che furono presi schiavi e portati in Livorno. La statua che rappresenta Ferdinando I dei Medici in abito di Cavaliere di S. Stefano è lavoro, per me degnissimo di lode, checché altri ne pensi, di Giovanni Bandini, ed è marmoreo e fu fatto innalzare da Cosimo II, successo a Ferdinando nel 1609: i Mori furono fusi da Pietro Tacca; le vesti, le armi, i trofei barbareschi che erano posti a piedi di Ferdinando, come mostra fra le altre un disegno fatto a matita sul luogo nel 1726 da Corrado Langesalza, la cui relazione di viaggi scritta in tedesco, ho vista nell’Archivio di Stato in Lucca, furono lavoro di Taddeo di Michele scolaro del Tacca.
Dirò solo che i quattro Mori sono degnissimi della fama di Pietro Tacca, per lo studio anatomico, la pieghevolezza delle membra, la naturalezza dell’espressione e dell’atteggiamento: sono degnissimi perciò di figurare anche nel più modesto trattato scolastico di storia dell’arte e sarebbe tempo che ci fossero compresi.
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( Pietro Vigo, brano tratto da “Livorno” – Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1915 )